Il calcio è uno sport semplice che si può considerare una sorta di metafora della vita. Alle volte ti stupisce, alle volte ti fa disperare, alle volte è banalmente normale. Salernitana-Spezia di ieri va annoverata in quest’ultima caratteristica.
Quando si affronta una squadra imbattuta in campionato, seconda in classifica e che è andata in gol prima della partita di ieri 11 volte su 12 da palle inattive è normale che questa squadra si imponga contro la Salernitana ed è normale che segni le sue due reti su palle inattive (delle quali una splendida con Soleri).
Quando si affronta una squadra che, dopo una difficile stagione, si è ricompattata e ha mantenuto praticamente intatta la sua intelaiatura mentre la Salernitana – checché ne dicano i nostalgici della pasticceria formellese – si sta costruendo pezzo dopo pezzo e si sta avvicinando a essere gruppo, è normale che l’altra squadra vinca.
Quando un allenatore (che allo stato attuale – checché ne dicano i nostalgici della pasticceria formellese – sarebbe folle mettere in discussione) deve ancora smaltire le ruggini della lunga attività – sebbene prestigiosa – come secondo tecnico, incappando in scelte difficilmente comprensibili come insistere su Braaf titolare e Kallon subentrante, quando la logica e le caratteristiche suggerirebbero il contrario, oppure lasciare in panchina il maggior investimento in avanti come Wlodarczyk, è normale che la squadra di questo allenatore perda.
Quindi, non bisogna assolutamente perdere la bussola. La Salernitana deve costruirsi, deve compattarsi e deve rimanere nella zona del centro classifica (ricordiamoci che lottare per salvarsi direttamente equivale a lottare per entrare nei playoff), a distanza dal gruppone per poi nel finale di stagione piazzare la zampata. Ricordate il Cagliari di due stagioni fa?